domenica 19 gennaio 2014

La dieta del gruppo sanguigno

La dieta del gruppo sanguigno, 
un mito da sfatare
Non ci sono prove scientifiche che confermino la teoria: lo dimostra un studio ampio che ha cercato di fare chiarezza



Possibile che avere il sangue del gruppo A o B faccia differenza su ciò che dovremmo mangiare? Sì, secondo i fautori della «dieta del gruppo sanguigno», un regime che ha fatto non pochi proseliti in tutto il mondo negli ultimi quindici anni. Peccato che le basi scientifiche per questa proposta alimentare siano praticamente inesistenti: lo ha spiegato lo scorso luglio una revisione degli studi sul tema pubblicata dall’American Journal of Clinical Nutrition , lo conferma ora una ricerca su PLOS One .

GRUPPI SANGUIGNI – La dieta del gruppo sanguigno è stata ideata da un naturopata, Peter D’Adamo, alla fine degli anni ‘90. Come tutte le ipotesi che si guadagnano credito nel passaparola dell’opinione pubblica, anche questa teoria sembra poggiarsi su concetti plausibili. Il gruppo sanguigno è una caratteristica determinata geneticamente e i diversi tipi si differenziano per le glicoproteine presenti sulle cellule del sangue: quando una ventina d’anni fa si scoprì che queste glicoproteine sono presenti anche su cellule dell’intestino e che l’attività di alcuni enzimi varia in base al gruppo sanguigno di appartenenza, D’Adamo ci costruì sopra un’ipotesi secondo cui il gruppo sanguigno sarebbe rivelatore delle abitudini alimentari dei nostri antenati, per cui mangiare in modo da evitare cibi poco digeribili perché “inconciliabili” con le glicoproteine presenti sulle nostre cellule sarebbe il modo migliore per ridurre il rischio cardiometabolico e restare sani più a lungo. Inoltre specifiche proteine che legano zuccheri presenti in alcuni cibi, le lectine, sarebbero responsabili di intolleranze e fastidi se non sono compatibili con il gruppo sanguigno. L’ipotesi ha convinto parecchi e D’Adamo ha venduto oltre 7 milioni di copie in tutto il mondo del suo libro “Eat right for your type” dove dispensava i consigli alimentari adatti a ciascuno: il gruppo 0, ad esempio, sarebbe quello più ancestrale e “va d’accordo” con la dieta ad alto contenuto di proteine degli antenati cacciatori (mettendo al bando pane e pasta); il gruppo A, evolutosi con il passaggio all’agricoltura, richiederebbe un’alimentazione vegetariana; il gruppo B delle tribù nomadi ha il via libera per i latticini; il gruppo AB può seguire una dieta «intermedia» fra le due precedenti.

PROVE SCIENTIFICHE – In tutto questo, però, di prove scientifiche nemmeno l’ombra: basta una ricerca su PubMed, la banca dati della letteratura medica mondiale, per accorgersi che gli studi seri sul tema sono praticamente inesistenti e tutti i presupposti della teoria non sono stati finora mai provati. Così Ahmed El-Sohemy, docente di nutrigenomica all’università canadese di Toronto, ha deciso di vederci più chiaro coinvolgendo poco meno di 1500 persone in uno studio controllato in cui valutare se la dieta del gruppo sanguigno possa avere un fondamento reale. I partecipanti hanno fornito informazioni estremamente dettagliate su tutti i cibi da loro consumati abitualmente, in più sono stati esaminati a fondo per stabilire il loro rischio cardiometabolico oltre che il gruppo sanguigno di appartenenza. A ognuno è stato perciò dato un “punteggio” di aderenza alla dieta del gruppo sanguigno, quindi si è valutato se questo fosse correlato alla presenza di marcatori di pericolo per la salute: se la teoria fosse corretta, chi è meno ligio ai dettami della “emo-dieta” dovrebbe avere più spesso trigliceridi, colesterolo, glicemia e altri parametri di rischio oltre i limiti.

NESSUNA EVIDENZA – Non è così, come spiega El-Sohemy: «L’aderenza ai regimi diversi proposti nella dieta del gruppo sanguigno si associa in alcuni casi a profili cardiometabolici positivi (è il caso di quella per il tipo A, che prevede soprattutto vegetali, o la AB che consiglia uova e pesce come fonte di proteine, ndr), ma senza alcun legame con il gruppo sanguigno di appartenenza. In pratica è il tipo di alimentazione proposto a essere di per sé più salutare e questo può spiegare perché vi siano persone che affermano di stare meglio seguendo la dieta del gruppo sanguigno. Tuttavia il modo in cui un individuo risponde a un’alimentazione vegetariana o a basso contenuto di carboidrati non ha nulla a che vedere con il gruppo sanguigno a cui appartiene, bensì con la propria capacità di adattarsi a quello specifico regime dietetico». Una capacità che non dipende certo solo dal far parte del gruppo 0, A, B o AB: il nostro corredo genetico influenza le risposte ai cibi, com’è noto, tuttavia i fattori in gioco sono così tanti e talmente complessi (oltre che tuttora conosciuti solo in minima parte) che ridurre tutto a quattro grandi categorie che dipendono solo dal gruppo sanguigno è riduttivo e potenzialmente sbagliato, soprattutto perché la dieta in questione in alcuni casi “taglia” interi gruppi di alimenti e può perciò provocare squilibri nutrizionali. «L’ipotesi era intrigante, per questo l’abbiamo messa alla prova – osserva El-Sohemy –. Ma dopo aver valutato così tante persone credo sia corretto dire che la teoria alla base della dieta del tipo sanguigno è falsa». Del resto è la stessa conclusione a cui sono arrivati sei mesi fa alcuni ricercatori belgi con la loro revisione di tutti gli studi pubblicati sull’argomento, uscita sull’American Journal of Clinical Nutrition: dopo aver setacciato le pubblicazioni scientifiche serie sul tema hanno trovato sedici lavori scientifici, ma di questi solo uno aveva caratteristiche di correttezza metodologica tali da poter essere analizzato più a fondo. Così, le conclusioni della revisione sono state nette: «Al momento non esistono prove che avvalorino benefici sulla salute da parte delle diete basate sul gruppo sanguigno. Per convalidare i presunti vantaggi servono studi che mettano a confronto i marcatori di salute di persone che seguono tali diete con quelli di chi ha un’alimentazione standard». La ricerca da poco pubblicata è la prima che prova a farlo rigorosamente e su un ampio numero di partecipanti. Il risultato, per ora, è un pollice verso.

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